Le avventure di Anita Hemingway ovvero L’arte di essere multifandom #2

Capitolo 2: Dove espongo le mie mutande e spavento dei personaggi di fantasia

Disney's TOMORROWLAND..Casey (Britt Robertson) ..Ph: Film Frame..©Disney 2015

Paralizzata per la sorpresa, ero rimasta sull’albero a guardare la scena. Susan che scoccava frecce con una precisione e una fermezza molto eleganti, Peter, capelli biondi scintillanti, che fendeva gli orchi come fossero stati aria, Lucy che combatteva con una piccola spada, e poi lui, la mia cotta storica, che combatteva con una spada per mano, la concentrazione dipinta sul suo meraviglioso volto: Edmund.

Improvvisamente una folata di vento mi fece dondolare pericolosamente. Persi l’equilibrio e iniziai a scivolare giù, spezzando dei rametti lungo la caduta e procurandomi non pochi graffi sulle gambe, protette solo da uno strato di calze di nylon. Aggrappandomi ai rami riuscii comunque a non cadere rovinosamente a terra. Ma ero scesa sufficientemente perché uno di quegli esseri mostruosi mi potesse afferrare. Che fu in effetti quello che successe. Un orco – più puzzolente di quanto non avrei mai potuto immaginare, tanto che mi procurò dei conati – mi afferrò una gamba e mi trascinò giù. Era in effetti un Uruk-hai, uno di quei cosi più alti e con la mano bianca di Saruman stampata in faccia, che mi tenne tranquillamente a testa in giù per una gamba. E lì per lì, invece di preoccuparmi per il fatto che avrebbe potuto affettarmi come un panetto di burro, mi preoccupai del fatto che indossavo la gonna, e che la suddetta si era rovesciata e stava mettendo in bella mostra le mie culottes azzurre con le astronavi e con la scritta “Fly me to the moon”. Mi affaccendai per alzare la gonna, perciò, usando la gamba libera per dare una pedata in testa al mostro. O lo avrei fatto, se la mia coordinazione occhio-piede fosse stata migliore. In realtà mi ritrovai a tenermi su la gonna con una mano, agitare un piede in aria e tenermi anche gli occhiali sul naso con l’altra mano, il tutto mentre la gravità e il mio zaino avrebbero voluto trascinarmi giù, e non potevano. E poi la terra esplose in qualche modo sotto di lui, e mi lasciò andare.
– Stà giù! – mi urlò una voce, e mi chiesi come potessi non stare giù visto che l’Uruk-hai mi aveva fatta cadere ed ero perciò stesa a stella sul terreno erboso. Una palla di fuoco volò sopra di me e colpì in pieno l’Uruk-hai.
– Vieni, prendi la mia mano. – Un braccio entrò nel mio campo visivo, e quando l’ebbi afferrato e mi fui rialzata, la mascella quasi mi cadde per terra. Era stata Katara a tendermela, e con lei stava arrivando anche Aang, il che spiegava la folata di vento, la terra che esplodeva senza motivo e la palla di fuoco.
– Attenzione! – gridarono gli altri, e ci voltammo proprio mentre un enorme segugio degli orchi stava per saltare su di noi. Ma in quel momento le due spade di Edmund, spuntate quasi dal nulla, si conficcarono nell’animale, che crollò a terra con un guaito proprio ai nostri piedi. Edmund venne tranquillamente a riprendersi le armi. Sembrava che la situazione si fosse calmata.
– Dobbiamo andarcene prima che ne arrivino altri. – disse Peter, rinfoderando la sua, di spada. – Aang, chiama Appa e poi… – si bloccò quando ci raggiunse, intento a fissarmi.
– E tu chi sei? – mi chiese.
– Mi chiamo Anita. – risposi, d’un tratto imbarazzata, e confusa.
– Amica o nemica? – si informò Susan, al che le rivolsi un’occhiataccia. Già mi stava antipatica, se poi mi rivolgeva anche domande stupide non faceva che scavarsi la fossa da sola.
– Ho la faccia di una nemica? Non sono palesemente di questo mondo e non ho armi. E gli orchi stavano attaccando anche me.
– Scusala, sai. Ha difficoltà a fidarsi. – mi disse Lucy, sorridendomi. E poi aggiunse: – Mi chiamo Lucy. – e mi tese la mano.
– Oh, lo so bene. – risposi ridacchiando. Il che mi fece sembrare un po’ pazza, ecco perché Lucy ritirò la mano immediatamente. – Sarebbe un po’ complicato spiegarvi come faccio a saperlo, ma vi conosco tutti. E no, non sono una strega o altro. Vengo dall’Inghilterra, come voi. Cioè, non proprio come voi, perché voi venite dalla seconda guerra mondiale e io dal 2014, ma il punto è che vengo anch’io dal vostro mondo. Cioè, non proprio dal vostro mondo, perché nel mio mondo voi siete personaggi fittizi mentre io non lo sono. O forse sì? Spiegherebbe perché mi trovo qui. Sono appena arrivata, sono un po’ confusa.
Tutti mi stavano fissando a bocca aperta. Avevo blaterato troppo. Sospirai e scostai una ciocca di capelli dal viso.
– Magari il mio amico Emmanuel avrà una spiegazione migliore della mia. Em? – chiamai, e mi guardai intorno. E, per la prima volta, mi resi conto che Emmanuel non era lì. C’erano i quattro fratelli Pevensie, c’erano Aang e Katara, e c’ero io. E nessun altro.
– Era il ragazzo con gli occhiali? – chiese Lucy. Quando annuii, lei e Peter si rivolsero uno sguardo dispiaciuto. – Lui… è stato preso. È stato preso dagli orchi sopravvissuti.
– Che cosa?! – sbottai. – Provo a telefonargli. – annunciai, e quando vidi come mi stavano guardando tutti, iniziai a ridere per quello che avevo detto. Ma forse non era un’idea così pazza. In fondo c’era un lampione che funzionava senza elettricità in mezzo a un bosco.
– Okay, adesso vi presento una tecnologia del 2014 che si chiama Smartphone. – tirai fuori il Samsung dalla tasca cercando di ignorare la fanart di Edmund che avevo come sfondo, e telefonai ad Emmanuel. Stava funzionando. Dopo qualche secondo, tuttavia, iniziai a sentire la sua suoneria – la marcia imperiale di Star Wars – nelle vicinanze. Seguii il suono e trovai, più o meno nei pressi dell’albero su cui ero salita, il suo zaino. Chiusi la telefonata.
– Diamine.
– Okay, adesso dobbiamo proprio tornare a palazzo. – annunciò Peter. – Non siamo ancora fuori pericolo. Immagino che prima di qualunque informazione da parte nostra e tua, sarebbe meglio medicarti. – mi disse, e mi resi conto delle mia braccia e gambe scorticate che, in effetti, bruciavano un po’.
– Andiamo a Cair Paravel? – chiesi, gli occhi quasi a cuoricino nonostante tutto.
– Come…? – fece per chiedere Peter, ma poi scosse la testa. – Cair Paravel è stata distrutta da…
– Dagli abitanti di Thelmar, giusto. Pensavo non fosse ancora successo. – commentai.
– Esatto. Adesso abbiamo un’altra base.
– E sarebbe?
– Hotel Transylvania. – Per la prima volta, era stato Edmund a parlare. Poi fece un fischio, e due enormi grifoni vennero giù dal cielo e planarono vicino a noi. Nello stesso modo, Aang chiamò Appa, che era sufficientemente grande da trasportare quattro persone. Edmund mi piazzò su uno dei grifoni senza tanti complimenti dopo che raccolsi lo zaino di Emmanuel, e poi l’animale spiccò il volo.
Inutile dire che mi sentii come Harry la prima volta che ha cavalcato Fierobecco.


I personaggi presenti in questo capitolo:
I fratelli Pevensie:
pevensie

Aang e Katara:
aang e katara

L’Uruk-hai:
Uruk-Hai

Se non avete letto il primo capitolo e volete recuperare, o volete sapere cos’è questa sorta di racconto, potete leggere questo articolo.

6 pensieri su “Le avventure di Anita Hemingway ovvero L’arte di essere multifandom #2

    • Andra ha detto:

      Grazie Deby! mah, io di continuare ho continuato fino al capitolo 7, ma ne voglio avere una quindicina pronti prima di darmi alla pubblicazione settimanale XD

  1. pierapi8 ha detto:

    Per caso hai letto la saga di Percy Jackson? Perché il titolo del capitolo è in puro stile Rick Riordan. E certo è che Anita ha le priorità tutte sballate (nod a Hermione): adoro.

    • Andra ha detto:

      Sì, ho letto la saga di Percy Jackson (è in lista per una rilettura, tra l’altro)! Guarda, lì per lì quando ho scelto i titoli non ho nemmeno realizzato che somigliassero a quelli. Mi suonavano familiari, ma ammetto di non aver collegato!
      Ad ogni modo nel mondo di Anita verranno inseriti anche alcuni personaggi di Percy Jackson, ma non a breve.

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